Impiegata delle Poste aggredita da un utente a Vercelli: lo stress dei dipendenti è arrivato alle stelle. La denuncia della Cgil
Comunicati stampa, News, SLC 7 agosto 2020«Questa volta le prendo». È probabilmente ciò che ha pensato l’impiegata di Poste Italiane rimasta coinvolta nell’ultimo episodio violento accaduto, soltanto la scorsa settimana, in un ufficio postale di Vercelli. L’ultimo ma non l’unico di storie che si ripetono: un cliente, recatosi all’ufficio postale di corso Palestro, ha inseguito l’impiegata che gli aveva dato informazioni fino nel retro dello sportello, minacciandola, urlando e spaventando tutti i presenti.
Chiamate le forze dell’ordine, il cliente si è dato una calmata ma, per quanto veloce sia stato l’intervento della polizia, per puro caso alla violenza verbale non è seguita una violenza fisica.
«In seguito al Covid è aumentato notevolmente il lavoro degli sportelli postali che sono rimasti aperti e lo stress dei dipendenti è arrivato alle stelle: dipendenti che subiscono anche la forte carenza di organico dell’azienda», spiega Valter Bossoni, segretario generale della Cgil Vercelli Valsesia. «Complice il fatto che nelle postazioni destinate ad accogliere il pubblico, il personale non abbia alcuna protezione. Questo perché, seguendo un progetto di svecchiamento e di migliore impatto commerciale, da almeno dieci anni, Poste Italiane ristruttura gli uffici seguendo il modello cosiddetto ‘layout’ che non prevede vetri blindati o accessi protetti in casi di front office con i clienti. Gli sportellisti, quindi, in tali uffici, dispongono di casseforti a sportello e sistemi anti rapina, ma non di protezioni personali. Una situazione piuttosto assurda!», aggiunge Bossoni.
E come ciliegina sulla torta, Poste italiane ha diramato di recente un comunicato in cui elogia la propria attività e il servizio reso che, nonostante il Covid, avrebbe visto incrementare il proprio profitto.
In effetti, Poste Italiane non ha mai interrotto il servizio: grazie a una forte presenza sul territorio, ha chiuso o limitato l’apertura soltanto di alcuni uffici, mentre altri hanno continuato a lavorare, ininterrottamente.
Così, nel piano messo in atto durante il lockdown – nonostante la mancanza di presidi protettivi – per almeno 15 giorni Poste ha tenuto aperti anche uffici senza barriere fisiche (arrivate in ritardo) in plexiglas per i dipendenti, che – tra l’altro – hanno continuati a lavorare senza guanti e mascherine.
«Mentre il Governo implementava la richiesta di servizi online, in seguito alla crisi economica e alla chiusura degli uffici preposti, ottenendo il risultato di centuplicare le domande di carte di reddito e di Spid per ottenere un’identità digitale, Poste italiane non ha mai specificato quali fossero i servizi essenziali, lasciando così aperta la porta a un vasto numero di persone che hanno usato l’App per smartphone quale ‘escamotage’ per uscire di casa, anche in pieno lockdown, congestionando il lavoro di quegli uffici rimasti aperti», spiega Bossoni.
«Troppo comodo sbandierare i propri profitti così ottenuti, nonostante il Covid! La verità è che per questi servizi, Poste ‘vende’ la sua rete di sportello ad altri enti, ad esempio all’Inps, ma eroga un servizio ‘monco’, dato che un qualsiasi problema in post vendita, non è risolvibile negli uffici postali dove il cittadino lo ha acquistato. L’utente di Poste non lo sa e non crede a quanto gli viene detto e, alla fine, se la prende con il dipendente che incontra allo sportello.
Una situazione non più sostenibile: è ora che Poste Italiane intervenga e si adoperi a tutela dei propri dipendenti perché, purtroppo, il passo dalla violenza verbale a quella fisica è breve e incontrollabile», conclude il sindacalista.