Che cos’è il tempo?
Domanda affascinante, ma difficile, quasi impossibile da spiegare con parole semplici.
Il tempo passa sopra tutte le cose, il tempo fa maturare, fa dimenticare, fa invecchiare.
Il tempo corrompe, modifica, altera, cambia i nostri punti di osservazione. Il tempo incoraggia nuove esperienze e ci fa più saggi, o forse solo più stanchi.
Il tempo scorre, si esaurisce.
“Tempus edax rerum”: il tempo che tutto consuma, leggiamo nelle Metamorfosi di Ovidio.
“Tempus fugit” replicavano i cantori latini. Il tempo sfugge a qualsiasi sforzo per fermarlo e anche per definirlo.
“Tempus fugit” ripetono spesso gli automobilisti in coda ogni giorno sulle tangenziali e sulle autostrade.
Ma l’idea del tempo è stata oggetto di indagine fin dagli albori della società. Letterati, poeti, filosofi, scienziati di diverse nazionalità, di opposte fedi religiose e politiche hanno cercato di dare una spiegazione della sua essenza.
Nel 1855, un gruppo di deputati australiani che aveva una sua concezione del tempo, concepì una parola d’ordine che risuonò in molte parti del mondo: “otto ore di lavoro, otto ore di svago, otto ore per dormire”.
Quella straordinaria intuizione, fu adottata dal congresso della Prima Internazionale a Ginevra, nel 1866, e trasformata in richiesta da gran parte dei movimenti sindacali del primo Novecento.
Quelle parole echeggiarono anche nelle campagne del vercellese.
E il primo giugno 1906 le mondariso vercellesi coadiuvate dai loro rappresentanti sindacali, l’Avvocato Modesto Cugnolio, il Professor Antonio Piccarolo, tipografo Lorenzo Somaglino, conquistano per la prima volta il diritto a lavorare per otto ore giornaliere.
Il contratto è comunale e vale solo per il comune di Vercelli, ma ben presto si estenderà in tutto il territorio e da quel momento in risaia le mondariso non saranno più costrette a lavorare senza interruzione dall’alba al tramonto.
Testo di Sergio Negri